Epatite pediatrica acuta, “i casi rischiano di aumentare”

L’epatite acuta che contagia i bambini “è ancora in una fase iniziale e la rete pediatrica nazionale è ben strutturata, però sono allarmata perché i casi rischiano di aumentare”.

Così, in un’intervista a La Stampa Annamaria Staiano, professoressa ordinaria di Pediatria a Napoli e presidente della Società Italiana di Pediatria.

Due settimane fa è stata data la notizia al Congresso della Società europea di Gastroenterologia pediatrica “di un cluster di epatite virale acuta in Inghilterra non classificabile da A ad E. Una settimana fa la notizia è  diventata di dominio pubblico e altre società scientifiche hanno iniziato la sorveglianza necessaria a identificare nuovi casi in tutto il mondo”, ha spiegato l’esperta.

L’epidemia “purtroppo sembra galoppante. Il 5 aprile i casi in Inghilterra erano 10, di cui uno con necessità di trapianto di fegato, e una settimana dopo 74. Si tratta di bambini tra 2 e 5 anni”.

Si è accertato che non ci sono legami con il Covid-19 e si è notato invece che i bambini “sono infetti da un adenovirus, simile a quello del raffreddore, ma che in alcuni casi di immunodepressione può portare all’epatite”.

Si presenta come un problema gastroenterologico, “con dolori addominali, diarrea, vomito e nessuna febbre” e si distingue dalle altre forme per la durata: “va oltre le due settimane. Nelle forme più gravi poi c’è l’ittero, ovvero la colorazione gialla della pelle e del bianco degli occhi. Conta molto infine l’esame delle transaminasi, gli enzimi prodotti dal fegato che segnalano un danno epatico”.

Nel caso in cui i sintomi durassero oltre una settimana, i genitori “dovrebbero far visitare il bambino dal pediatra. Nel caso dell’ittero, invece, devono portarlo subito al pronto soccorso. È anche importante osservare il quadro generale, ovvero se oltre ai sintomi ci sia una marcata debolezza. L’evoluzione è  rapida e progressiva e in alcuni casi si presenta la necessità del trapianto di fegato. Nelle situazioni più semplici bastano idratazione e antivirali”. Per ora in Italia i casi “sono pochi, ma bisogna tenere alta la guardia”.

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