Covid-19, l’obesità aumenta la mortalità: lo studio italiano

Un rapporto diretto tra il Covid-19 e l’obesità tale da causare un indice di mortalità più elevato e un decorso più grave.

Questa è l’ipotesi formulata dal prof. Saverio Cinti, direttore del Centro per l’Obesità dell’Università Politecnica delle Marche di Ancona, in collaborazione con i colleghi delle Università di Brescia e Milano. La ricerca è stata pubblicata sull’International Journal of Obesity, la rivista scientifica inglese sull’obesità numero uno al mondo.

Nel dettaglio, la ricerca parte dall’analisi di alcuni pazienti morti per Covid-19 all’Ospedale di Torrette di Ancona, i cui polmoni contenevano gocce lipidiche, cioè grassi, poi rinvenuti anche a livello dei vasi sanguigni.

Una situazione analoga – hanno precisato i ricercatori – a quella dell’embolia ‘grassosa’, frequentemente riscontrabile in soggetti politraumatizzati per gravi incidenti stradali con la fuoriuscita nel sangue di gocce lipidiche dalle ossa fratturate.

«Il tessuto adiposo – ha spiegato Cinti – contiene nei soggetti in forte sovrappeso molte cellule adipose morte, il cui grasso fuoriesce nella matrice extracellulare e, almeno all’inizio, viene smaltito da cellule ‘spazzino’ denominate macrofagi, che non sono altro che cellule infiammatorie. Dunque il tessuto adiposo di un obeso è un tessuto infiammato, caratterizzato da goccioline grasse, che accumulandosi tra le cellule stimolano una risposta infiammatoria per riportare il tessuto alle condizioni normali».

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«Ma gli adipociti – ha continuato Alessandra Valerio dell’Università di Brescia – esprimono nella membrana cellulare il recettore ACE2 che favorisce l’entrata del virus Sars-Cov-2. Questo, per motivi ancora sconosciuti, aumenta negli adipociti ipertrofici (giganti), tipici negli obesi, favorendo la morte di un numero ancora maggiore di cellule adipose e aumentando ulteriormente l’infiammazione e il rischio di embolia grassosa».

I quadri polmonari dei pazienti di Covid-19 infatti – hanno sottolineato Antonio Giordano e Laura Graciotti della Politecnica – mostrano spesso lesioni bilaterali simili a quelle della embolie grassose.

«Una constatazione – ha concluso Enzo Nisoli dell’Università di Milano – che deve far riflettere sull’utilizzo di farmaci come l’eparina, che se da un lato favorisce lo scioglimento delle gocce lipidiche, libera anche acidi grassi che peggiorano lo stato infiammatorio». Fonte: ANSA.

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