Vitamina D e Parkinson: una nuova alleata contro i sintomi nascosti della malattia?

Studi recenti aprono nuove prospettive sull'uso della vitamina D come possibile supporto terapeutico nei pazienti con malattia di Parkinson.

In Italia migliaia di persone affrontano ogni giorno la realtà della malattia di Parkinson. Caratterizzata da tremori, rigidità muscolare e difficoltà nei movimenti, questa patologia colpisce il sistema nervoso e, ad oggi, non ha ancora una cura definitiva. I trattamenti attuali mirano soprattutto a compensare la perdita di dopamina, la sostanza chimica che regola il movimento. Tuttavia, nuove ricerche scientifiche stanno indagando un’altra strada: la vitamina D, detta anche “vitamina del sole”, potrebbe offrire un aiuto concreto nel ridurre alcuni dei sintomi meno visibili, ma molto impattanti, come l’insonnia, la depressione e l’ansia.

Vitamina D e Parkinson
Vitamina D e Parkinson

Vitamina D e Parkinson: esiste davvero un legame?

Uno studio pubblicato sulla rivista Acta Neurologica Scandinavica ha esaminato 182 pazienti con Parkinson e 185 soggetti sani. I ricercatori hanno scoperto che i malati presentano livelli significativamente più bassi di 25-idrossivitamina D, il principale indicatore dello stato di vitamina D nel corpo. Non solo: questi pazienti avevano anche una densità ossea ridotta, soprattutto nella colonna lombare e nel collo del femore.

Ma l’aspetto più interessante riguarda i sintomi non motori della malattia. Chi aveva una carenza di vitamina D riportava con maggiore frequenza:

  • cadute ricorrenti,
  • insonnia,
  • qualità del sonno compromessa,
  • stati depressivi,
  • ansia marcata.

Queste correlazioni sono rimaste valide anche dopo aver tenuto conto di età, sesso e indice di massa corporea. Secondo il professor Chun-Feng Liu, autore principale dello studio, questi dati suggeriscono un possibile ruolo attivo della vitamina D nei meccanismi che portano allo sviluppo della malattia.

Può diventare parte del trattamento?

Le evidenze scientifiche si stanno accumulando. Studi più recenti indicano che livelli più alti di vitamina D nel sangue si associano a minore gravità dei disturbi cognitivi e depressivi, in particolare nelle fasi iniziali del Parkinson. Questo porta i ricercatori a considerare che la carenza di vitamina D non sia solo una conseguenza della malattia, ma anche un fattore aggravante.

Questa ipotesi apre alla possibilità di integrare la vitamina D ai trattamenti dopaminergici già in uso. Non per sostituirli, ma per potenziare la qualità della vita dei pazienti, agendo sui sintomi invisibili che spesso non vengono trattati adeguatamente.

Tuttavia, gli scienziati restano cauti. Servono studi clinici controllati, su larga scala, per confermare definitivamente questa teoria.

E per la salute delle ossa?

Chi soffre di Parkinson presenta spesso ossa più fragili. Questo è emerso in diverse ricerche, tra cui una pubblicata da Univadis, che evidenzia una ridotta densità ossea nei soggetti con Parkinson rispetto alla popolazione generale. Ma, sorprendentemente, non c’è una correlazione diretta tra questa fragilità e i livelli di vitamina D nel sangue.

In altre parole, anche se i pazienti con Parkinson hanno spesso carenze di vitamina D e ossa più deboli, non è detto che queste due condizioni siano direttamente collegate. La vitamina D può aiutare a ridurre il rischio di cadute, migliorando l’equilibrio e le funzioni cognitive, ma non basta da sola per rinforzare le ossa. In questi casi, servono anche calcio e, talvolta, farmaci specifici contro l’osteoporosi.

Dove si trova la vitamina D e quali altri benefici ha?

Il corpo umano sintetizza la vitamina D grazie all’esposizione al sole, ma è possibile assumerla anche attraverso l’alimentazione. Gli alimenti più ricchi sono:

  • Pesci grassi come salmone, sgombro e sardine,
  • Uova, burro, fegato e alcuni formaggi,
  • Alimenti fortificati come cereali e prodotti lattiero-caseari arricchiti.

Oltre al Parkinson, la vitamina D è associata a numerosi benefici per la salute. Secondo studi recenti:

  • rallenterebbe la progressione del diabete di tipo 2,
  • ridurrebbe il rischio di fratture dopo un trapianto renale,
  • avrebbe un ruolo nella prevenzione di alcuni tumori, tra cui quello colorettale e mammario.

Un supporto promettente, ma da usare con giudizio

L’ipotesi che la vitamina D possa alleviare sintomi non motori del Parkinson si fa sempre più concreta. Non si tratta di una cura, ma di un possibile alleato nella gestione della malattia, soprattutto nei suoi stadi iniziali. Attualmente, una corretta alimentazione e una moderata esposizione solare rappresentano strategie semplici e sicure, consigliabili a tutti i pazienti.

Gli esperti raccomandano comunque di non assumere integratori di propria iniziativa, ma di parlarne sempre con il medico curante. Un semplice esame del sangue può indicare se i livelli di vitamina D sono adeguati o se è il caso di intervenire con un’integrazione mirata.

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