Coronavirus: cosa bisogna sapere sulle mutazioni

Il nuovo Coronavirus è mutato almeno una volta. Ciò significa che, oggi come oggi, potrebbero esserci due diversi tipi di virus che causano la malattia che sta colpendo tantissime persone in tutto il mondo.

Questa è la principale conclusione di uno studio condotto da un’equipe attiva presso la School of Life Sciences dell’Università di Pechino, che ha collaborato con l’Istituto Pasteur di Shangai.

I dettagli dello studio

Lo studio in questione, i cui dettagli sono stati pubblicati sulle pagine di National Science Review, ha sottolineato l’esistenza del cosiddetto ceppo L, il più aggressivo. Secondo gli esperti che hanno condotto questo studio, coinvolge il 70% circa dei ceppi analizzati.

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Il secondo tipo, conosciuto come S, è invece meno aggressivo e ha coinvolto circa il 30% dei casi analizzati in laboratorio. Gli esperti hanno sottolineato che, nei primi tempi della diffusione dell’epidemia a Wuhan, il primo tipo era quello più diffuso.

Questa tensione, però, è diminuita alla fine del mese di gennaio 2020. A detta degli esperti, l’intervento umano potrebbe aver esercitato un pressione selettiva sul ceppo del virus di tipo L, che sarebbe diventato più aggressivo e si sarebbe diffuso con maggior rapidità.

Il tipo S, più vecchio dal punto di vista evolutivo e meno aggressivo, potrebbe essere aumentato nella frequenza relativa a causa della pressione selettiva molto più debole.

A detta dei ricercatori cinesi, il secondo ceppo è nato probabilmente da una mutazione della versione ancestrale o del tipo S. I risultati sono stati commentati facendo presente che, grazie ad essi, è stata messa in primo piano la necessità di effettuare ulteriori studi immediati e finalizzati a combinare dati genomici ed epidemiologici, integrando anche record grafici dei sintomi clinici dei pazienti affetti da Covid-19.

Gli esiti sopra ricordati sono stati ottenuti analizzando 103 genomi di SARS-CoV-2. Gli esperti hanno evidenziato che si tratta di un campione limitato.

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