Tumore al polmone: scoperta mutazione che migliora l’efficacia dell’immunoterapia
Sapevi che circa 1 paziente su 20 con tumore al polmone presenta una mutazione genetica che potenzia gli effetti dell’immunoterapia? È quanto emerge da un importante studio internazionale, coordinato dal Dana-Farber Cancer Institute in collaborazione con l’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena (IRE). La scoperta potrebbe segnare una svolta concreta nella medicina personalizzata.

La mutazione DNMT3A: un “interruttore” che aiuta il sistema immunitario
Il gene al centro della scoperta si chiama DNMT3A. Quando è mutato, sembra rendere il tumore più visibile al sistema immunitario. È come se attivasse dei segnali luminosi che aiutano le difese dell’organismo a identificare e colpire le cellule malate con maggiore precisione.
Il gene DNMT3A è normalmente coinvolto in un processo chiamato metilazione, un meccanismo che regola l’attività dei geni senza alterarne il codice. In pratica, agisce come un interruttore epigenetico: può spegnere o accendere i geni a seconda delle necessità. Quando questo gene è alterato, però, sembra cambiare anche il modo in cui il tumore si presenta al sistema immunitario, rendendolo più vulnerabile all’attacco.
Risultati sorprendenti: tassi di risposta raddoppiati e sopravvivenza più lunga
I numeri parlano chiaro. I pazienti con questa mutazione hanno mostrato:
- Tassi di risposta quasi doppi all’immunoterapia.
- Sopravvivenza globale più lunga rispetto a chi non presenta la mutazione.
Lo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Annals of Oncology, apre scenari incoraggianti: potremmo presto potenziare l’efficacia dell’immunoterapia agendo direttamente su questo gene con farmaci specifici.
Perché questa scoperta è così importante
L’immunoterapia ha già rivoluzionato la cura del tumore al polmone non a piccole cellule, ma finora ha funzionato solo su una parte dei pazienti. Comprendere chi risponde meglio ai trattamenti è diventato uno degli obiettivi chiave dell’oncologia di precisione.
Questa nuova evidenza offre una risposta concreta: esiste un biomarcatore genetico, la mutazione DNMT3A, che potrebbe guidare la scelta delle terapie in modo più mirato e personalizzato.
Uno studio internazionale, con un importante contributo italiano
La ricerca ha coinvolto oltre 1.500 pazienti in numerosi centri oncologici di eccellenza:
- Dana-Farber Cancer Institute (Boston)
- Memorial Sloan Kettering (New York)
- Gustave Roussy (Francia)
- Istituto Nazionale Tumori Regina Elena (Italia)
Tra i protagonisti anche il giovane ricercatore Stefano Scalera, under 40 dell’IFO, che ha svolto un ruolo centrale nelle analisi bioinformatiche dello studio.
Cosa significa per i pazienti questa scoperta
Per i pazienti, la scoperta della mutazione DNMT3A potrebbe tradursi in:
- Diagnosi più precise.
- Trattamenti personalizzati fin dal primo ciclo di terapia.
- Maggiore possibilità di risposta duratura all’immunoterapia.
- Un nuovo approccio ai farmaci epigenetici, che potrebbero essere sviluppati per agire su questa mutazione.
Cosa succederà ora?
I prossimi passi riguarderanno lo sviluppo di nuovi farmaci capaci di modulare l’attività del gene DNMT3A. In altre parole, la medicina potrebbe presto disporre di strumenti per “accendere i riflettori” sul tumore e renderlo più vulnerabile all’immunoterapia anche in assenza della mutazione.
Questa strategia potrebbe estendere i benefici dell’immunoterapia a molti più pazienti, cambiando il paradigma terapeutico.
FAQ
Cos’è la mutazione DNMT3A?
È un’alterazione genetica che riguarda il processo di metilazione, rendendo il tumore più riconoscibile al sistema immunitario.
In quanti pazienti è presente?
Circa nel 5% dei pazienti con tumore al polmone non a piccole cellule, ovvero 1 su 20.
Che vantaggi offre l’immunoterapia in questi casi?
Tassi di risposta più alti e sopravvivenza più lunga rispetto ai pazienti senza la mutazione.
Come si può individuare la mutazione?
Attraverso test genetici mirati, già disponibili in molti centri oncologici.
Questa scoperta è utile solo per il tumore al polmone?
Per ora sì, ma studi futuri potrebbero esplorare il ruolo della mutazione anche in altri tipi di tumore.
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