Salute mentale e sindrome di Stoccolma: la morte di Clark Olofsson riapre il dibattito

La sindrome di Stoccolma è uno stato psicologico paradossale che può manifestarsi in vittime di sequestro, rapimento, violenza o abuso ripetuto, le quali sviluppano sentimenti positivi verso i propri aggressori, che possono variare dalla solidarietà fino all’innamoramento.

Clark Olofsson, uno dei criminali più noti della storia svedese e figura centrale nel celebre caso che portò alla definizione della “sindrome di Stoccolma”, è morto all’età di 78 anni ad Arvika, in Svezia, il 24 giugno 2025, dopo una lunga malattia. La notizia è stata confermata dalla famiglia al quotidiano svedese Dagens ETC.

Il caso che ha segnato la storia della criminologia

Olofsson divenne famoso a livello internazionale nell’agosto del 1973, quando fu coinvolto nel “dramma di Norrmalmstorg”, una rapina con sequestro di ostaggi nella filiale della Kreditbanken, nel cuore di Stoccolma. L’episodio ebbe inizio quando Jan-Erik Olsson, evaso armato, prese in ostaggio tre donne e un uomo, chiedendo tra le sue condizioni la liberazione di Olofsson, suo ex compagno di carcere. Le autorità acconsentirono e Olofsson, da detenuto, divenne protagonista insieme a Olsson del sequestro, che durò sei giorni.

Durante l’assedio, gli ostaggi iniziarono a simpatizzare con i due sequestratori, arrivando a difenderli e a mostrare ostilità verso la polizia. Una delle sequestrate, Kristin Enmark, arrivò a supplicare il primo ministro svedese di non fare del male ai rapinatori: “Mi fido completamente di Clark e del rapinatore. Non ci hanno fatto nulla. Anzi, sono stati molto gentili”. Al termine della crisi, risolta con il blitz della polizia e l’uso di gas lacrimogeni, nessuno perse la vita e gli ostaggi si rifiutarono di testimoniare contro i sequestratori, dichiarando di temere più le autorità che i criminali stessi.

La nascita della “sindrome di Stoccolma”

Il comportamento degli ostaggi fu analizzato dallo psichiatra svedese Nils Bejerot, che coniò il termine “sindrome di Stoccolma” per descrivere il legame emotivo che può svilupparsi tra vittime e sequestratori in situazioni di grande stress. Il fenomeno divenne oggetto di dibattito internazionale e fu ulteriormente portato alla ribalta dal caso di Patty Hearst negli Stati Uniti l’anno successivo.

La vicenda di Olofsson ha ispirato libri, documentari e film, tra cui la serie Netflix “Clark” del 2022, in cui il criminale è interpretato da Bill Skarsgård. La sua figura, controversa e affascinante, continua a dividere l’opinione pubblica e il mondo accademico, tra chi vede nella “sindrome di Stoccolma” una reale risposta psicologica al trauma e chi la considera una semplificazione.

Clark Olofsson rimane una delle figure più emblematiche della cronaca nera europea, simbolo di un caso che ha cambiato per sempre il modo di interpretare il rapporto tra vittime e carnefici.

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Cos’è la sindrome di Stoccolma

La sindrome di Stoccolma è uno stato psicologico paradossale che può manifestarsi in vittime di sequestro, rapimento, violenza o abuso ripetuto, le quali sviluppano sentimenti positivi verso i propri aggressori. Questi sentimenti possono variare dalla solidarietà fino all’innamoramento, portando la vittima a giustificare, proteggere o addirittura difendere il proprio carnefice, anche contro le autorità o chi tenta di aiutarla.

Le criticità

La sindrome è stata oggetto di numerosi studi e discussioni sia in ambito psicologico che criminologico. Tuttavia, la ricerca scientifica sulla sindrome di Stoccolma presenta alcune criticità:

– Non è una diagnosi clinica ufficiale: non compare nei principali manuali diagnostici internazionali come il DSM-5 o l’ICD-11, e non esistono criteri diagnostici universalmente riconosciuti o strumenti validati per identificarla.

– Letteratura scientifica limitata: la maggior parte degli studi si basa su casi singoli o su resoconti mediatici, con una carenza di ricerche sistematiche e peer-reviewed. Questo è dovuto sia alla rarità degli eventi di rapimento sia alla difficoltà di monitorare le vittime dopo la liberazione.

– Studi clinici: alcune ricerche, come quella condotta dal Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche dell’Università di Padova su vittime di sequestro in Sardegna, hanno riscontrato la presenza della sindrome in circa il 50% dei soggetti, ma senza una correlazione significativa con disturbi come il PTSD o la depressione maggiore.

Cosa dicono gli esperti psichiatri

Gli esperti psichiatri sottolineano diversi aspetti chiave riguardo la sindrome di Stoccolma:

– Meccanismo di difesa: la sindrome viene interpretata come una strategia di sopravvivenza in risposta a una situazione di estremo pericolo e dipendenza, in cui la vittima cerca inconsciamente di instaurare un legame con il proprio aggressore per ridurre la minaccia percepita e aumentare le possibilità di sopravvivenza.

– Dinamiche relazionali: il fenomeno si verifica più facilmente in situazioni caratterizzate da isolamento, squilibrio di potere, minacce alla sicurezza e controllo coercitivo da parte dell’aggressore.

– Sintomi e conseguenze: i sintomi includono empatia e affetto verso l’aggressore, ostilità verso le autorità, dipendenza emotiva, negazione delle emozioni negative e difficoltà a riconoscere la pericolosità della situazione. A lungo termine, può portare a disturbi come ansia, depressione e sintomi da stress post-traumatico.

– Non universalmente riconosciuta: molti psichiatri e psicologi mettono in guardia dall’uso eccessivo o improprio del termine, sottolineando che non esistono criteri diagnostici standardizzati e che la sindrome rischia di essere un’etichetta mediatica più che una vera entità clinica.

– Trattamento: il supporto psicoterapeutico, in particolare la terapia cognitivo-comportamentale e la terapia focalizzata sul trauma, è considerato fondamentale per aiutare le vittime a elaborare l’esperienza e superare i legami emotivi con l’aggressore.

Effetti a lungo termine

Gli studi evidenziano conseguenze psicologiche persistenti, anche in assenza di diagnosi formale:

Effetti psicologici

– Disturbi d’ansia e depressione: ripercussioni emotive legate al trauma, con sintomi come ipervigilanza e incubi ricorrenti.

Alterazioni relazionali

– Difficoltà a stabilire legami sani.

– Ostilità verso le autorità e isolamento sociale.

Distorsioni cognitive

– Minimizzazione della violenza subita.

– Bassa autostima e senso di colpa verso l’aggressore.

Trattamento e gestione

– Terapia cognitivo-comportamentale (CBT): focus sulla ristrutturazione delle distorsioni cognitive e gestione dell’ansia.

– Terapia focalizzata sul trauma: elaborazione dell’esperienza traumatica con tecniche come l’EMDR.

– Supporto sociale: reti di sostegno per reintegrare autonomia e autostima.

Considerazioni finali

La sindrome di Stoccolma è studiata principalmente attraverso casi isolati e ricerche cliniche, con dati limitati dalla mancanza di riconoscimento diagnostico.

Gli effetti a lungo termine includono compromissione della salute mentale e disfunzioni relazionali, mitigabili con interventi psicoterapici mirati.

La ricerca futura necessita di protocolli standardizzati per valutare sistematicamente cause e decorso del fenomeno.

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