L’immunologo Mantovani ai giovani: “Vi spiego perché dovete vaccinarvi”

«Vaccinatevi. Anche per ritornare a scuola in sicurezza».

Così l’immunologo Alberto Mantovani evidenzia in un’intervista al Corriere della Sera. Secondo il direttore scientifico dell’Istituto Clinico Humanitas e professore Emerito dell’Humanitas University a Milano, è vero che i ragazzi fra i 12 e i 18 anni si ammalano poco e raramente hanno forme gravi. Però, ci sono un po’ di ‘però’.

In Italia sono stati segnalati 28 casi mortali da COVID in questa fascia di età. Ma c’è di più. Andrea Biondi, all’Ospedale San Gerardo di Monza, ha avuto quattro casi di adolescenti, su 60, che sono finiti in terapia intensiva. E non è una bella esperienza per loro.

Ancora: in alcuni di questi pazienti si è registrata la comparsa di una malattia nuova, una multi-infiammazione sistemica che interessa tutto l’organismo. Esiste poi, la minaccia del long-COVID: disturbi che colpiscono chi ha avuto la malattia e che si trascinano nel tempo: per esempio, disturbi della memoria. Lo dimostra un report, il primo al mondo, firmato dai medici dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma.

«Il vaccino – secondo Mantovani – è una cintura di sicurezza, come in auto. Ma da sola non ci può proteggere al 100 per cento se passiamo con il rosso. Quindi, non dimentichiamoci tutte le altre precauzioni, mascherina compresa. Anche chi ha già avuto il COVID è poco protetto, soprattutto fra gli anziani. Uno studio, firmato Pfizer, condotto su circa 44 mila individui fra i 12 e i 90 anni e pubblicato online (cioè accessibile a tutti), dimostra che, nelle persone anziane, la malattia dà una protezione da una nuova infezione, solo nel 47% dei casi. Il suggerimento è di vaccinare, al momento, con una dose».

Sulla terza dose, ha spiegato l’immunologo, «facciamo sempre riferimento ai dati scientifici. Sappiamo, ancora grazie al lavoro di Pfizer, che a sei mesi dalla somministrazione del loro vaccino, la protezione dall’infezione diminuisce (cioè un vaccinato si può reinfettare), ma rimane alta, oltre l’80%, la capacità del vaccino di evitare le ospedalizzazioni e la morte. Per ora, non si hanno indicazioni certe per la terza dose. Il problema riguarda le persone fragili, per esempio perché colpite da tumori del sangue, e che reagiscono poco ai vaccini. Cercheremo di dare risposte concrete con uno studio, che si chiama Vax4Frail, sostenuto dal ministero della Salute, e che ci vede partecipi come Istituto Humanitas, con altri partner come l’Istituto Tumori di Milano e il Regina Elena di Roma. I risultati dovrebbero arrivare entro l’estate».

In futuro, dice ancora Mantovani, «occorre portare i vaccini ai Paesi poveri, altrimenti il virus può circolare e produrre nuove varianti, magari più aggressive.

Quanto alle terapie farmacologiche, «uno dei primi obiettivi della ricerca è quello di capire se esiste una predisposizione genetica alla malattia e se esistono marcatori che possono individuare una persona a rischio di sviluppare forme gravi. Abbiamo, come Istituto Humanitas, contribuito a un lavoro pubblicato su Nature, coordinato da Andrea Ganna, che sta cercando di far luce su questi aspetti. Al momento si stanno sperimentando anticorpi monoclonali contro la proteina spike da destinare a pazienti fragili. Ma, secondo un nuovo studio pubblicato sulla piattaforma Recovery, potrebbero anche funzionare nelle fasi avanzate. Sono soluzioni che si stanno sperimentando se il vaccino fallisce o non funziona. Sono due anticorpi, frutto della ricerca italiana. Uno è un monoclonale, che vede tutte le varianti del virus, studiato da Davide Corti (pubblicato su Nature); l’altro, è un ‘minianticorpo’ ingegnerizzato, ideato da Rino Rappuoli. Attendiamo i risultati delle sperimentazioni».

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