E se il Sars-CoV-2 si combinasse con un altro coronavirus?

Spesso si parla del timore che il Sars-CoV-2 possa mutare e, quindi, diventare più virulento e contagioso. In realtà, c’è un’altra minaccia che spaventa gli scienziati: la ricombinazione con un altro coronaviru, che darebbe vita a un nuovo ibrido e, quindi, a una nuova pandemia.

Diversi elementi supportano questa ipotesi. In primo luogo, i coronavirus tendono a ricombinarsi facilmente. «È anche uno dei loro principali modi di evoluzione», ha spiegato Étienne Simon-Loriere, specialista in virus presso l’Institut Pasteur, come riportato su Futura-Sciences.com.

Rispetto ad altri virus a RNA, che si evolvono maggiormente per mutazione, i coronavirus sono piuttosto stabili, perché hanno enzimi che superficialmente ‘controllano’ che la copia dell’RNA non contenga errori. Ad oggi sono noti pochi mutanti di SARS-CoV-2 e anche queste sono mutazioni minori.

Ricombinazione, la modalità di evoluzione preferita dei coronavirus

Per evolvere e ingannare la resistenza del sistema immunitario, i coronavirus hanno quindi un’altra tattica. I loro enzimi replicanti saltano spesso da una parte all’altra del modello di RNA, rendendoli rapidi nel remixare il loro genoma e nel  «rubare» materiale da altri coronavirus correlati. Uno studio, condotto dal ricercatore Huiguang Yi, della Shenzhen University of Science and Technology in Cina, ha studiato 84 genomi di SARS-CoV-2 e ha dimostrato che alcuni ceppi si potrebbero essere formati soltanto mediante ricombinazione con un altro ceppo.

Possibile coinfezione con un altro virus

Una seconda condizione è tuttavia necessaria per la ricombinazione con un altro coronavirus. «La stessa persona deve essere infettata da entrambi i coronavirus contemporaneamente e devono essere presenti nella stessa cellula», ha spiegato Étienne Simon-Loriere. «È molto raro, ma non impossibile».

Ora, il coronavirus è perfettamente in grado di convivere con altri virus e sono stati documentati diversi casi di coinfezione con il virus dell’influenza, il virus respiratorio sinciziale (TSV) o altri comuni virus del raffreddore. Questi ultimi sono i più preoccupanti, perché sono coronavirus vicini al SARS-CoV-2 e quindi più propensi a ricombinarsi facilmente con esso. Potrebbe anche essere che il SARS-CoV-2 si trovi in ​​una persona infetta da MERS-CoV, un altro coronavirus che circola ancora occasionalmente. Questo ibrido creerebbe quindi una malattia completamente nuova.

Un vaccino “universale” contro tutti i coronavirus?

Quindi dovremmo essere preoccupati? Una tale ricombinazione minaccerebbe un futuro vaccino? «Dipende tutto dalla parte del virus interessata», ha affermato Étienne Simon-Loriere. Se si tratta di una proteina di superficie del virus, quella utilizzata dal sistema immunitario per identificare l’agente patogeno, il vaccino sarà effettivamente meno efficace. «D’altra parte, se dovesse coinvolgere una parte interna del virus come la polimerasi (che viene utilizzata per la replicazione, n.d.r.), allora non dovrebbe avere conseguenze». L’ideale sarebbe quindi produrre un vaccino ‘universale’ mirato, ad esempio, a questa polimerasi al fine di ottenere un vaccino efficace contro tutti i ceppi di coronavirus contemporaneamente.

Infine, anche se il virus si riuscisse a ricombinarsi, non è detto che sarebbe più aggressivo. Anzi,  potrebbe essere benigno. Insomma, niente è certo.

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