Covid-19, il virologo Remuzzi: “Starà con noi per un anno o due”

Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto farmacologico ‘Mario Negri’ di Bergamo, intervistato da Panorama, ha affermato: «Al pronto soccorso non arrivano più malati in crisi respiratoria come sette settimane fa. Qualcosa sta cambiando. Le epidemie si esauriscono, lo farà anche Covid-19, anche se non in tempi brevi. Questa è stata una pandemia che ha unito la gravità della Sars alla contagiosità dell’influenza. Continuerà a stare con noi per uno/due anni. Finché, a furia di circolare, si fermerà».

«Direi che ci sono due ipotesi – ha evidenziato l’esperto – la prima è che è diminuita la sua carica virale, per effetto anche del lockdown: se stiamo a distanza, ci laviamo le mani e indossiamo la mascherina è evidente che ci arrivano meno particelle virali. All’ospedale di Brescia il virologo Arnaldo Caruso ha visto che gli ultimi tamponi mostravano una quantità di Rna virale molto più bassa di quella di cinque settimane prima. E nell’unico tampone dove la carica era invece elevata, il virus faticava a uccidere le cellule: dopo circa sei giorni ne moriva qualcuna, mentre prima tutte le cellule esposte a una carica virale comparabile morivano in 48 ore».

Remuzzi ha anche affermato: «La mascherina è come la cintura di sicurezza. Lei la mette giusto? Magari sarà servita di rado, però quell’unica volta le avrà evitato il peggio. La mascherina è uguale: non serve sempre, ma se quello davanti tossisce o starnutisce ed è positivo, meglio che ce l’abbia su. E come lui, tutti».

«Diverso – ha aggiunto – il discorso per la sanificazione. L’idea della sanificazione è esplosa dopo un articolo sul ‘New England Journal of Medicine’. Ma quel lavoro non diceva che il virus poteva contagiare, solo che dopo tot ore, su superficie diverse, c’erano tracce del genoma virale, che è altra cosa. Il fatto di trovare presenza di Rna virale, non significa che ci sia il virus intero con la sua capsula. Non solo. Perché una particella virale possa trasmettere l’infezione occorre che sia idratata, e spesso in presenza di sole e luce non lo è più. Poi bisogna che qualcuno passi subito dopo che quella superficie è stata toccata da un malato, e metta le mani esattamente nel punto dove le ha messe lui. E se anche lo facesse dovrebbe poi mettersi le mani nel naso o strofinarsi gli occhi. Insomma, ci vorrebbe una tale sfortunata serie di coincidenze che lo ritengo alquanto improbabile. Lavarsi le mani è più che sufficiente». Fonte: Adnkronos

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