Coronavirus: i test sierologici sono davvero efficaci?

Nelle ultime settimane, abbiamo sentito tutti parlare dei test sierologici, ossia quelle procedure che consentono di rilevare gli anticorpi frutto di un eventuale contatto con il Coronavirus da parte di una determinata persona.

Quando li si chiama in causa, è necessario specificare che molti di loro non soddisfano i criteri per la certificazione. Alla luce di ciò, la loro affidabilità può essere considerata un problema.

Il caso della Francia

Particolarmente esemplificativo a tal proposito è il caso della Francia, dove è stato annunciato, alla fine di marzo, l’acquisto di una quantità consistente di test. Il 19 aprile 2020, il Ministro della Salute ha annunciato che molti dei test realizzati in altri Paesi sono in circolazione e non risultano convalidati dai laboratori del Paese.

In virtù di quanto appena ricordato, Véran ha sollevato dubbi in merito alla loro efficacia e utilità. Il problema, come sopra accennato, sembra essere legato alla sensibilità. In alcuni casi, è stata rilevata una frequenza di falsi negativi pari al 40%. Ciò significa che, in 4 test su 10, gli anticorpi non vengono rilevati seppur presenti.

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Cosa dicono gli studi

Un recente studio scientifico ha analizzato 9 test sierologici sviluppati in Danimarca. Entrando nello specifico, ricordiamo che tre di questi sono i cosiddetti test immunoenzimatici Elisa. Gli alti sei, invece, sono chiamati Point of Care.

Cosa ha scoperto lo studio? Che i test Elisa hanno una sensibilità tra il 67 e il 93% e una specificità tra il 93 e il 100. Gli altri, invece, hanno mostrato una sensibilità più alta, compresa tra l’80 e il 93%. Per quel che concerne invece la specificità, si parla di un range compreso tra l’80 e il 100%.

Gli esperti che hanno condotto lo studio li hanno testati su un campione di 30 pazienti, numero non sufficiente per poter parlare di approvazione. Per arrivare a questo punto, infatti, bisognerebbe concretizzare procedure di testing su larga scala anche su persone sane.

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