Perché ricordiamo certi momenti e altri no? Una scoperta lo spiega

Ci sono ricordi che spariscono come un sogno al mattino, mentre altri restano nitidi nonostante il tempo. Perché il nostro cervello sceglie di conservare alcuni momenti nei minimi dettagli e relegarne altri in un angolo confuso?

Ricordi
Ricordi

Un recente studio dell’Università di Boston (USA) propone una risposta: nella memoria, gli eventi emotivamente rilevanti giocano un ruolo chiave nel rafforzare i ricordi anche di momenti “ordinari”. I ricercatori suggeriscono che un’esperienza sorprendente, gratificante o con forte impatto emotivo può “stabilizzare” ricordi altrimenti fragili. Il risultato è pubblicato su Science Advances.

Il ruolo delle emozioni nella consolidazione della memoria

La memoria non è un semplice registratore passivo: il cervello decide cosa vale la pena conservare. Come afferma Robert M. G. Reinhart, professore associato di psicologia e neuroscienze:

“Gli eventi emotivi possono retrocedere nel tempo per stabilizzare ricordi fragili”.

Secondo lo studio, i momenti quotidiani acquisiscono forza se sono collegati a un evento centrale che evoca emozione. Potrebbero essere sorprese, ricompense, picchi di interesse, o stimoli che catturano l’attenzione.

Questa selezione non è casuale: il cervello opera una sorta di scala graduata per decidere quali ricordi mantenere.

Memoria retroattiva e proattiva: cosa s’intende

Gli autori parlano di due meccanismi:

  • Memoria proattiva: i ricordi che si formano dopo un evento centrale.
  • Memoria retroattiva: i ricordi che si formano prima dell’evento centrale.

I risultati mostrano che:

  • Per i ricordi successivi (proattivi), l’intensità del ricordo cresce con l’impatto emotivo dell’evento centrale: più è rilevante, più è probabile che i momenti dopo vengano ricordati.
  • Per i ricordi precedenti (retroattivi), la chiave non è l’emozione, ma la connessione visiva o sensoriale con l’evento. Se un ricordo precedente presenta una caratteristica simile (ad esempio lo stesso colore) a un evento centrale, ha più probabilità di essere consolidato.

In sostanza: non basta che un momento sia emotivo per diventare memoria duratura; deve anche legarsi al “nucleo emotivo” in modo riconoscibile.

Un dato interessante: se un ricordo secondario ha già un peso emotivo proprio, l’effetto “potenziamento” da parte dell’evento centrale si attenua. L’attenzione pare concentrarsi sui ricordi più vulnerabili, quelli che altrimenti andrebbero perduti.

Implicazioni pratiche: educazione, memoria e salute mentale

Anche se lo studio ha un taglio fondamentale — cioè finalizzato a comprendere i meccanismi di base — le sue applicazioni potenziali sono molte:

  • In ambito educativo, proporre contenuti con elementi emotivamente coinvolgenti potrebbe favorire la memorizzazione dei concetti “fragili” o difficili.
  • In neuropsicologia, si potrebbe tentare di «riattivare» ricordi deboli, magari perduti per l’invecchiamento, attraverso stimoli connessi emotivamente.
  • Viceversa, in disturbi legati al trauma, si può immaginare un uso opposto: attenuare la fissazione di ricordi dolorosi o traumatici.

Reinhart commenta: “Il cervello sembra dare priorità a ricordi che altrimenti si perderebbero.”

Limiti e prospettive future

Lo studio è stato condotto su circa 650 partecipanti, in 10 esperimenti distinti, con l’ausilio dell’intelligenza artificiale per analizzare un insieme di dati ampio.

Nonostante la solidità, restano alcune questioni:

  • Fino a che punto questi meccanismi si applicano a ricordi complessi (episodi di vita, rapporti umani)?
  • Qual è il ruolo individuale di fattori come età, stato emotivo, disturbi cognitivi?
  • Come tradurre questo meccanismo in interventi clinici?

I prossimi studi dovranno esplorare ambienti più naturali (ricordi di vita reale), condizioni patologiche (Alzheimer, PTSD) e protocolli di stimolazione controllata.

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