Ovodonazione, l’esperienza di Beatrice: “Nessun rischio, solo un grande gesto di altruismo”
“Lo rifarei assolutamente”. È il primo pensiero di Beatrice (nome di fantasia), una delle prime donne in Italia ad aver donato volontariamente i propri ovociti. È la stessa Beatrice a raccontare la propria storia sul sito internet dell'ospedale Niguarda di Milano.
Essere madre è un’esperienza straordinaria, fatta di amore incondizionato, meraviglia e scoperta quotidiana. È un legame profondo che nasce prima ancora del primo abbraccio e che cresce insieme ai battiti di un cuore nuovo. Ma non tutte le donne hanno la possibilità di vivere questa gioia, per motivi biologici, di salute o di percorso di vita. È importante riconoscere anche questo, rispettando ogni storia personale e celebrando il valore di tutte le donne, madri e non, perché la maternità è una delle tante forme d’amore, ma non l’unica che definisce il valore di una vita.

Disinformazione intorno all’ovodonazione
“Lo rifarei assolutamente”. È il primo pensiero di Beatrice (nome di fantasia), una delle prime donne in Italia ad aver donato volontariamente i propri ovociti. Ventitré, per la precisione: destinati ad aiutare, in modo altruistico e anonimo, altre donne che non possono realizzare il sogno di una maternità. Un gesto generoso e prezioso, intorno al quale però persiste ancora oggi molta diffidenza e, soprattutto, una profonda disinformazione. È la stessa Beatrice a raccontare la propria storia sul sito internet dell’ospedale Niguarda di Milano.
La scelta di donare e il timore dei familiari
Tutto è nato dall’esperienza personale di due amiche, che per problemi di fertilità avevano dovuto ricorrere alla fecondazione eterologa. “All’inizio ero solo incuriosita, ma poi ho pensato: se potessi aiutare donne come loro?” racconta Beatrice. Quello che era nato come un pensiero passeggero ha finito col trasformarsi in una decisione concreta, nonostante iniziali resistenze nell’ambiente familiare e sociale. “Tutti mi dicevano che ero pazza. Una delle paure di mia mamma, per esempio, era che in qualche modo io potessi sprecare i miei ovuli”, ricorda.
Un timore infondato, come le hanno poi spiegato i medici: “La stimolazione ormonale, mi spiegarono i medici, porta alla maturazione di tutti gli ovociti che normalmente verrebbero comunque attivati, ma poi persi, in un ciclo mestruale ordinario”. Nessuno spreco, dunque.
Rimane però il problema di fondo: una scarsa cultura della donazione e una generale mancanza di informazioni affidabili. “Pur essendo un medico, io stessa non sapevo come funzionasse” ammette Beatrice. “Basta davvero poco per capire che, in realtà, si tratta di un intervento veloce e sicuro. Io non ho avuto effetti collaterali di nessun tipo e non ho perso giorni di lavoro”.
Incoraggiare altre donne a fare lo stesso
Nonostante lo scetticismo iniziale di chi la circondava, Beatrice ha scelto di andare avanti e oggi racconta la sua esperienza per incoraggiare altre donne a fare lo stesso. Si è rivolta alla banca di conservazione dei gameti dell’Ospedale Niguarda di Milano, dove ha seguito tutto l’iter previsto dalla legge italiana per diventare donatrice.
Come avviene il prelievo degli ovociti
“L’intervento in sé dura poco. Dopo aver fatto tutti i controlli necessari preliminari per verificare l’arruolabilità, si viene sottoposti a stimolazione ormonale sottocutanea per quindici giorni in ambulatorio. Nel frattempo, si monitora la situazione degli ovuli tramite esami del sangue ed ecografie. Una volta che gli ovociti sono maturi, vengono prelevati con un ago transvaginale in anestesia. Sembra molto più complicato di quello che è, ve lo assicuro”.
Cosa prevede la legge italiana
Prima della donazione, ogni candidata deve superare una serie di controlli clinici, genetici e psicologici per verificare idoneità e volontarietà. La legge italiana prevede che possano donare donne sane, di età compresa tra i 20 e i 35 anni, e di comprovata fertilità. I controlli clinici servono a escludere malattie infettive o ereditarie, mentre la valutazione psicologica garantisce che la scelta sia libera e consapevole.
Il prelievo degli ovociti dura circa 15-20 minuti, seguito da tre ore di sorveglianza post-operatoria.
Serve maggiore sensibilizzazione
Il vero ostacolo, però, rimane la poca conoscenza di questa possibilità. Anche per questo il Ministero della Salute ha avviato campagne di sensibilizzazione per far conoscere il valore e la sicurezza della donazione di ovociti, con l’obiettivo di incrementare il numero di donatrici in Italia.
Beatrice, nel suo piccolo, continua a fare la sua parte. Lei stessa si sorprende dell’evoluzione di questo percorso personale: da una semplice curiosità, è nato un desiderio sincero, fino a un impegno per garantire pari diritti a tutte le donne. “Penso che sia un tema importante” sottolinea. “L’ovodonazione è, in genere, l’ultima spiaggia per le donne che, per problemi di infertilità o patologie, non possono ricorrere ai propri ovociti per una gravidanza. Credo che tutti debbano avere l’opportunità di crearsi una famiglia e di poter avere la vita che desiderano”.