Non è solo cancro: il lato nascosto del carcinoma mammario nelle persone non binarie
Il cancro al seno è un evento traumatico per molte donne. Ma cosa accade quando a viverlo è una persona che non si riconosce nel genere femminile?
Per la maggior parte delle donne, ricevere una diagnosi di cancro al seno rappresenta uno degli eventi più traumatici della vita. La malattia colpisce non solo il corpo, ma anche l’identità, la femminilità, la percezione di sé. Tuttavia, esistono storie che si allontanano da questa narrazione più comune, e che meritano attenzione, rispetto e una riflessione più ampia da parte del mondo medico e sociale.

Indice dell'articolo
- 1 Cancro al seno e identità di genere: un nodo ancora poco discusso
- 2 Lo screening: una prassi necessaria, ma non per tutti accogliente
- 3 La diagnosi di cancro e l’inizio di un doppio percorso
- 4 Quando il protocollo non basta: il bisogno di ascolto e personalizzazione
- 5 La svolta con la chirurgia oncoplastica privata
- 6 Non tutti i tumori parlano la stessa lingua
- 7 Verso una medicina più inclusiva e rispettosa
- 8 Non ignorare il tuo corpo, qualunque sia la tua identità
- 9 Domande frequenti
Cancro al seno e identità di genere: un nodo ancora poco discusso
Nel 2021, una persona di 50 anni riceve una diagnosi di carcinoma mammario in fase iniziale. Fin qui, una storia purtroppo frequente. Ma questa volta, ad affrontarla non è una donna cisgender, bensì una persona trans non binaria, che da tempo vive in modo consapevole e sereno una identità che non si riconosce né nel genere maschile né in quello femminile.
Per chi vive fuori dal binarismo di genere, la relazione con il proprio corpo è spesso complessa, specialmente quando si tratta di caratteristiche fisiche legate socialmente a un’identità specifica, come il seno per le donne. In questo caso, il rapporto con il proprio petto era da sempre fonte di disagio, estraneità e sofferenza.
Lo screening: una prassi necessaria, ma non per tutti accogliente
A pochi giorni dal compimento dei 50 anni, arriva l’invito per lo screening gratuito per il tumore al seno, come previsto dal Sistema Sanitario Nazionale. Una prassi fondamentale per la prevenzione, ma anche una procedura che può diventare emotivamente difficile per chi non si identifica come donna. L’ambiente, le immagini, il linguaggio utilizzato: tutto richiama una femminilità che non appartiene a chi si trova lì per motivi di salute, ma senza sentirsi rappresentatə.
Nonostante la paura, la persona decide di sottoporsi alla mammografia. La procedura è veloce, impersonale. Ma poco dopo, arriva un secondo richiamo: è stata individuata un’area sospetta. Le probabilità che si tratti di un tumore sono del 25%. Si procede con le biopsie.
La diagnosi di cancro e l’inizio di un doppio percorso
Dopo dodici biopsie, la conferma: si tratta di carcinoma mammario. La notizia, naturalmente, colpisce con forza. Ma insieme allo shock e alla paura, emerge anche un pensiero che può sembrare sorprendente: forse questo cancro è anche un’occasione per liberarmi del seno che ho sempre odiato.
Un pensiero che può apparire sconcertante, ma che in realtà rivela una verità fondamentale: ogni paziente è unico, e la relazione con il proprio corpo è profondamente personale. Non esiste un solo modo “giusto” di vivere una malattia.
Il medico propone una lumpectomia (asportazione parziale) o una mastectomia monolaterale (rimozione completa di un solo seno), seguita da radioterapia. Si tratta delle opzioni standard, ma non rispondono alle esigenze di chi vorrebbe invece un petto completamente piatto, coerente con la propria identità di genere.
Quando il protocollo non basta: il bisogno di ascolto e personalizzazione
Alla richiesta di eseguire una doppia mastectomia – non per un’esigenza clinica, ma per un’esigenza identitaria – la risposta iniziale dei medici è negativa: “Non c’è motivo di rimuovere un seno sano”.
Questa risposta, purtroppo, è ancora troppo frequente. Il sistema sanitario, anche se eccellente dal punto di vista clinico, spesso fatica a rispondere in modo empatico e personalizzato ai pazienti che non rientrano nei parametri binari di genere. Si rischia di sottovalutare l’impatto psicologico, sociale e identitario delle scelte terapeutiche.
La svolta con la chirurgia oncoplastica privata
Dopo diversi consulti deludenti, la persona trova un chirurgo specializzato in chirurgia oncoplastica che ascolta, comprende e decide di portare il caso davanti a un collegio multidisciplinare.
Alla fine, ottiene l’approvazione per eseguire una doppia mastectomia con ricostruzione dei pettorali, un intervento di sei ore che rimuove entrambe le mammelle e i capezzoli. Il risultato: un petto completamente piatto, in armonia con l’identità della persona.
Il sollievo e la gioia post-operatoria sono enormi, nonostante la malattia. Per la prima volta, lo specchio riflette un corpo finalmente sentito come proprio. In mezzo al dolore del cancro, una nuova possibilità di vivere autenticamente.
Non tutti i tumori parlano la stessa lingua
Dopo l’operazione, la persona partecipa a un gruppo di supporto per pazienti oncologici. Ma anche qui, si sente fuori posto. Condivide la propria esperienza, ma percepisce imbarazzo, distanza, incomprensione. C’è un senso di colpa per provare gratitudine verso qualcosa – il cancro – che ha anche aperto una porta verso la libertà personale.
Esistono tumori percepiti come “neutri”, come alcune forme di leucemia o linfoma, in cui la diversità di genere non si riflette tanto nelle cure o nell’ambiente. Ma nel caso dei tumori associati a un genere specifico, come il cancro al seno, è fondamentale che i professionisti sanitari siano preparati ad accogliere anche identità non conformi.
Verso una medicina più inclusiva e rispettosa
La medicina moderna ha fatto passi da gigante nella lotta contro il cancro, ma deve ora affrontare anche una nuova sfida: diventare davvero inclusiva. Non basta salvare vite: bisogna anche rispettare le persone, ascoltarle, riconoscerle nella loro complessità.
È tempo di aggiornare protocolli, linguaggi e ambienti per rendere lo screening, la diagnosi e le terapie oncologiche più accessibili e rispettose delle diversità di genere. Questo significa anche formare il personale sanitario e promuovere una cultura dell’accoglienza, priva di giudizi o stereotipi.
Non ignorare il tuo corpo, qualunque sia la tua identità
La conclusione è semplice ma potente: non ignorare il tuo corpo. Qualunque sia il tuo rapporto con alcune parti di esso, non rinunciare ai controlli, alle visite, alla prevenzione. Il tuo corpo è tuo, e merita attenzione, rispetto e cura.
Un prodotto utile
Per chi affronta una mastectomia e desidera sentirsi a proprio agio nella vita quotidiana, può essere utile una fascia post-operatoria elastica e traspirante, pensata per favorire la guarigione e il comfort. Disponibile su Amazon a questo link.
Domande frequenti
Chi può richiedere una doppia mastectomia in Italia, anche in assenza di tumore bilaterale?
In casi di disforia di genere o esigenze psicologiche documentate, è possibile, ma spesso solo tramite iter privati e con valutazioni multidisciplinari.
Il cancro al seno colpisce solo le donne?
No. Anche gli uomini e le persone non binarie possono svilupparlo, anche se i numeri sono inferiori.
Esistono strutture inclusive in Italia per persone transgender?
Sì, ma sono ancora poche. Alcuni centri ospedalieri stanno avviando percorsi dedicati, soprattutto nelle grandi città.
La mastectomia è sempre ricostruttiva?
No. La ricostruzione è una scelta personale e può essere omessa se il paziente lo preferisce.
Radioterapia e chirurgia top possono interferire?
Sì, per questo è importante pianificare con un’equipe esperta, soprattutto se si desidera un risultato estetico coerente.
Iscriviti per ricevere altri articoli come questo





