Libri e salute, “La primavera torna sempre” di Lorenzo Marone, la recensione
Nello squarcio di una Napoli silenziosa come mai prima, specchio di tutte le città d’Italia coinvolte nel lockdown della scorsa primavera, Lorenzo Marone (Napoli, 1974) ci regala una breve storia che parla di resilienza e gentilezza. “La primavera torna sempre” è un regalo ai suoi lettori, un ebook gratuito scaricabile qui:
“La primavera torna sempre”, lo scenario di uno scorcio di vita durante la pandemia
Un breve racconto in cui l’autore riporta i suoi personaggi di “Magari domani resto” per farci immergere in uno scenario quasi idilliaco che noi tutti abbiamo vissuto – e ancora viviamo – nell’emergenza del coronavirus, dove lo sconforto prende il posto della forza e del coraggio nella protagonista Luce, la femmina del Sud, che regala sorrisi e parole, aiuta gli anziani vicini con la spesa, creando un’atmosfera familiare in cui vige la gentilezza d’animo, la sua virtù.
Le descrizioni sono minuziose, la Signora Assunta che si sporge dal terrazzino del primo piano, Gennaro, il proprietario del negozio di alimentari e don Vittorio, il vicino di Luce, saranno i sostenitori di dialoghi che risaltano vivi all’occhio dell’animo non lasciando indifferenti. Parole cariche di affetto e di paura per quella distanza che potrebbe cancellare abbracci e affettuosità con i più cari.
Le strade dei Quartieri Spagnoli di Napoli che Luce percorre sono deserte con le serrande calate, cupe alla vista. Ci si immedesima subito in queste immagini ricordando quelle della propria città, del silenzio che avvolge le vie da dove prima arrivavano gli schiamazzi dei più giovani, le voci dei meno temerari.
L’apice nella consapevolezza saggia di don Vittorio che – sul pianerottolo di casa – scambia alcune parole con Luce dove ad essere approfondite sono le sensazioni di impotenza in una situazione in cui non si è più padroni della propria vita.
A questo punto sarà don Vittorio a regalarci un proverbio afghano che ci accompagnerà nella riflessione più acuta. D’altronde, tutto scorre e nulla resta immutato: addà passà ‘a nuttata.