Lavorare troppo cambia il cervello: lo studio che allarma i medici
Il fenomeno del “super lavoro” è oggetto di attenzione da tempo da parte della comunità scientifica. Numerosi studi hanno evidenziato legami con un maggior rischio di sviluppare patologie cardiovascolari, disturbi metabolici e problematiche legate alla salute mentale.
Lavorare troppo potrebbe avere conseguenze ben più profonde di quanto si pensi. Un recente studio pubblicato sulla rivista Occupational & Environmental Medicine, e riportato da Nurse Times, mette in luce come la dedizione estrema al lavoro possa modificare la struttura del cervello, in particolare nelle aree deputate alla regolazione emotiva e alle funzioni esecutive, quali memoria di lavoro e capacità di problem solving.

Il “super lavoro” provoca oltre 800mila decessi all’anno
Il fenomeno del “super lavoro” è oggetto di attenzione da tempo da parte della comunità scientifica. Numerosi studi hanno evidenziato legami con un maggior rischio di sviluppare patologie cardiovascolari, disturbi metabolici e problematiche legate alla salute mentale. I ricercatori, affiliati a diverse università coreane, si basano anche sui dati dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, che stima un impatto letale attribuibile all’eccesso di orario pari a oltre 800mila decessi annuali.
Lo studio e come si è svolto
Per cercare di chiarire i meccanismi neurobiologici sottostanti, un team internazionale ha confrontato, attraverso l’analisi del volume strutturale cerebrale, specifiche regioni nei lavoratori sanitari. Il campione, tratto dallo studio di coorte Grocs (Gachon Regional Occupational Cohort Study), ha coinvolto 110 partecipanti, esclusi quelli con dati incompleti o immagini di scarsa qualità. La maggioranza dei soggetti, prevalentemente medici, è stata divisa in due gruppi: chi superava le 52 ore settimanali e chi rispettava un orario standard.
Chi lavora troppo presenta modifiche in alcune aree cerebrali
Le analisi, condotte mediante sofisticate tecniche di neuroimaging focalizzate sulle differenze nei livelli di materia grigia, hanno rivelato che i lavoratori impegnati oltre il normale orario presentavano modifiche significative in alcune aree cerebrali, soprattutto quelle legate alle funzioni esecutive e alla regolazione emotiva. Ad esempio, è stata misurata una variazione del 19% in più del volume del giro frontale mediale nei soggetti che lavoravano ore in eccesso rispetto ai colleghi con orario standard. Tale area, cruciale per funzioni cognitive complesse, riveste un ruolo fondamentale nella gestione dell’attenzione, della memoria e dell’elaborazione del linguaggio.
Altri risultati dello studio
Lo studio ha evidenziato incrementi volumetrici in altre 17 regioni, tra cui il giro frontale medio, il giro frontale superiore – essenziale per l’attenzione, la pianificazione e il processo decisionale – e l’insula, la quale integra informazioni sensoriali, motorie e autonome, oltre a partecipare all’elaborazione delle emozioni e alla consapevolezza di sé.
Risultati da interpretare con cautela
Pur trattandosi di una ricerca osservazionale di dimensioni contenute, gli autori precisano che non è possibile stabilire una relazione diretta di causa-effetto, in quanto non sono ancora chiari i meccanismi che condizionano tali variazioni anatomiche. Di fronte a questi risultati preliminari, i ricercatori affermano: “Sebbene i risultati debbano essere interpretati con cautela, rappresentano un primo passo significativo per comprendere la relazione tra superlavoro e salute del cervello. In particolare, l’aumento del volume cerebrale osservato potrebbe riflettere risposte neuroadattive allo stress occupazionale cronico. I cambiamenti rilevati potrebbero fornire una base biologica per le difficoltà cognitive ed emotive spesso segnalate nelle persone sottoposte a sovraccarichi di lavoro. Sono necessari futuri studi di neuroimaging longitudinali e multimodali per confermare questi risultati e chiarire i meccanismi sottostanti”.
Bisogna tutelare il benessere psicofisico dei lavoratori
Resta così la presa di posizione degli esperti, che sottolineano l’importanza di “affrontare il superlavoro come un problema di salute” e la “necessità di politiche sul posto di lavoro che riducano al minimo le ore di lavoro in eccesso”. Questi dati riaprono il dibattito sulla sostenibilità dei ritmi lavorativi attuali e sulla necessità di un cambio di paradigma nell’organizzazione del lavoro, in chiave preventiva e di tutela del benessere psicofisico dei lavoratori.