Alzheimer: un farmaco sperimentale potrebbe rallentare la malattia fino a 8 anni
Lecanemab, farmaco anti-Alzheimer, potrebbe rallentare la demenza fino a 8 anni secondo nuovi studi
Un farmaco per l’Alzheimer potrebbe rallentare la progressione della demenza fino a otto anni. Lo suggeriscono nuovi dati presentati in un’importante conferenza scientifica.

Nuovi risultati relativi al lecanemab – commercializzato con il nome Leqembi e sviluppato dalla casa farmaceutica giapponese Eisai – suggeriscono un quadro molto più ottimistico.
Uno studio, infatti, ha evidenziato che, in casi selezionati, il trattamento a lungo termine con lecanemab può rallentare il passaggio dall’iniziale decadimento cognitivo lieve a uno stadio moderato della malattia fino a 8,3 anni.
I risultati si riferiscono in particolare a pazienti trattati precocemente, in uno stadio lieve della malattia e con bassi livelli di proteina amiloide nel cervello, una delle sostanze ritenute responsabili della degenerazione cerebrale nell’Alzheimer.
Indice dell'articolo
L’importanza della diagnosi precoce
I nuovi dati, come riportato su Express, sono stati presentati durante la conferenza internazionale Clinical Trials in Alzheimer’s Disease (CTAD) tenutasi a San Diego, negli Stati Uniti.
Il dottor Richard Oakley, direttore associato della ricerca presso l’Alzheimer’s Society, ha commentato con ottimismo la notizia:
“Per decenni, le persone affette da Alzheimer hanno atteso con urgenza trattamenti in grado di rallentare la progressione della malattia. Questi nuovi dati sull’uso reale del lecanemab, al di fuori dei contesti di studio clinico, sono promettenti, perché indicano che iniziare la terapia precocemente potrebbe offrire maggiori benefici“.
Secondo il dottor Oakley, però, c’è ancora bisogno di approfondire:
“Dobbiamo ancora comprendere cosa comporti realmente il rallentamento della malattia per la vita quotidiana dei pazienti: per esempio, se ciò permetterà loro di mantenere più a lungo l’autonomia e la capacità di gestire le attività quotidiane“.
Nuove modalità di somministrazione: arriva l’auto-iniettore
Un’ulteriore novità riguarda una nuova formulazione del farmaco: Eisai ha presentato dati preliminari su una versione iniettabile con auto-iniettore, simile a una penna per insulina.
Questa modalità potrebbe semplificare notevolmente la somministrazione del lecanemab, evitando il ricorso alle infusioni endovenose ospedaliere. In futuro, i pazienti potrebbero assumere il farmaco direttamente a casa, con maggiore comodità e accessibilità.
Alzheimer: i numeri in Italia
In Italia la situazione è preoccupante. Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, circa 1,2 milioni di persone convivono con una forma di demenza, di cui il 60-70% è rappresentato dall’Alzheimer.
Tuttavia, la diagnosi tempestiva rimane un problema anche nel nostro Paese, spesso per mancanza di informazione, per ritardi nell’accesso ai centri specializzati e per la natura inizialmente sfumata dei sintomi.
Lo sapevi che…?
- Le terapie a base di anticorpi come lecanemab sono le prime a mostrare un rallentamento clinicamente significativo della malattia.
- La proteina amiloide è considerata una delle principali responsabili del danno neuronale nell’Alzheimer.
- I nuovi farmaci potrebbero spostare il paradigma terapeutico da sintomatico a preventivo, agendo prima dell’insorgenza irreversibile del danno cerebrale.

FAQ
Cosa fa il lecanemab?
È un anticorpo monoclonale che si lega alla proteina amiloide nel cervello, rallentando la progressione dell’Alzheimer nelle fasi iniziali.
È già disponibile in Italia?
No, al momento non è disponibile nel sistema sanitario italiano. Sono in corso valutazioni e sperimentazioni.
Come si somministra?
Attualmente tramite infusione endovenosa, ma è in fase di sviluppo una versione auto-iniettabile.
Chi può beneficiarne?
Persone con diagnosi precoce di Alzheimer e con bassi livelli di proteina amiloide nel cervello.
Quali sono i costi?
Al momento non sono noti i costi per il mercato italiano. Nel Regno Unito, il prezzo è stato ritenuto eccessivo rispetto ai benefici stimati (fonte: NICE).
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Approfondimenti
I primi campanelli d’allarme dell’Alzheimer
I sintomi iniziali dell’Alzheimer sono spesso sottili e facilmente confondibili con il normale invecchiamento. Il segno più comune è la perdita di memoria recente: la persona dimentica conversazioni appena avvenute, ripete le stesse domande o smarrisce oggetti in posti insoliti. Seguono difficoltà nel pianificare attività quotidiane, problemi nel trovare le parole giuste, disorientamento temporale o spaziale (perdersi in luoghi familiari) e calo di giudizio e ritiro dalle attività sociali. Questi segnali, se persistenti e progressivi dopo i 65 anni, giustificano una visita neurologica precoce: diagnosticare l’Alzheimer nelle fasi iniziali permette di rallentare il decorso con terapie farmacologiche e non farmacologiche.
Le terapie per affrontare l’Alzheimer
Per l’Alzheimer oggi non esiste una cura definitiva, ma diverse terapie aiutano a rallentare il declino cognitivo e a migliorare la qualità di vita dei pazienti. I farmaci tradizionali, come gli inibitori delle colinesterasi e la memantina, agiscono sui sintomi, favorendo memoria e attenzione nelle fasi iniziali e intermedie della malattia. Negli ultimi anni si sono aggiunti nuovi anticorpi monoclonali, tra cui lecanemab e donanemab, mirati alla proteina beta-amiloide, con l’obiettivo di modificare l’andamento della patologia, pur con benefici limitati e possibili effetti avversi. Fondamentali anche riabilitazione cognitiva e supporto alle famiglie.




