Covid-19, perché i casi aumentano ma non la mortalità?

Ad aprile il picco epidemico, ad oggi una curva che varia. Dall’inizio dell’emergenza SARS-CoV-2, secondo l’andamento dei dati statistici circa i contagiati, i guariti e i deceduti, i numeri sono cambiati: si assiste ad un aumento dei casi ma non della mortalità. Perché? La risposta certa è ancora un mistero, ecco alcune ipotesi.

Contagi in aumento, decessi in calo: nel mistero, alcune ipotesi

Ad oggi in Italia si registrano 269.000 casi, 208.000 guarigioni e 35.483 decessi. I dati giornalieri continuano a cambiare da regione a regione (da zero contagi registrati in Molise e Basilicata, ad un picco di nuovi casi in Campania).

Se i contagi aumentano e i decessi diminuiscono ci saranno delle ragioni ma ancora nessuna certezza se non la formulazione di alcune spiegazioni plausibili. Una sicurezza appare agli occhi di tutti: negli ospedali non si assiste più ad una grande affluenza di pazienti come nel mese di aprile.

Il virus è meno virulento? È mutato?

Prima di proseguire con l’ipotesi, è bene capire cosa s’intende per virulenza: questa è la capacità del virus di manifestare nell’organismo che li ospita patologie di diversa misura bypassando le difese del sistema immunitario.

A luglio è stato pubblicato uno studio scientifico in cui si rende noto: il virus sembra essere diventato più infettivo ma meno virulento grazie ad una mutazione che colpisce una proteina chiave del virus.

Per ricordare che le ipotesi non sono certezza, Uzma Hasan – specialista in immunità presso Inserm – afferma: “non possiamo dedurre che la mutazione renda il virus meno virulento ma solo che è mutato”.

Un articolo di BioRxiv che ha preso in esame 46.700 genomi di SARS-CoV-2 conclude informando che nessuna delle mutazioni può essere associata ad un aumento della trasmissibilità.

Dal punto di vista evolutivo, ad ogni modo, non è possibile escludere la possibilità di una minore capacità di virulenza del Coronavirus.

Una politica di screening più adeguata e accessibile?

Compiendo un passo indietro, la possibilità di accedere al tampone faringeo era riservato ai casi più gravi o sintomatici, è possibile invece rilevare la presenza del Covid-19 anche recandosi presso un laboratorio privato autorizzato.

Alcuni Presidenti delle regioni italiane confermano la necessità di uno screening nazionale. Il monitoraggio è più intenso viene effettuato su una scala più ampia, inevitabilmente il tasso di mortalità dipende dal numeratore (numero dei morti) ma sostanzialmente dal denominatore (il numero dei casi positivi).

Tra il confronto di questi dati emerge che maggiore è il numero dei casi emersi (anche asintomatici) minore è il numero dei decessi, in proporzione.

I giovani sono le fasce più colpite?

Oggi in Italia l’età media dei contagiati è di 35 anni, contro i 60 registrati nei primi mesi dell’emergenza, raramente si assiste a delle forme gravi, spesso asintomatici.

Uzman Hasan specifica: “è molto più facile fare il test oggi, il che significa che le persone con casi più lievi o addirittura asintomatici scoprono di avere il virus”.

In parole chiare, un aumento del numero degli screening equivale ad un aumento anche dei giovani che si sottopongono ad esso e che possono risultare positivi: definire i giovani come la fascia più colpita potrebbe essere fuorviante e non veritiera.

Se la risposta fosse nell’immunità acquisita?

A supporre è ancora la Dr.ssa Uzman Hasan: “sebbene l’immunità non sia sufficiente per bloccare una reinfezione, può proteggere la persona dalla malattia”. Molte persone esposte al Coronavirus sono risultate positive con una sintomatologia lieve.

Uno studio sulla rivista Science pubblicato il 4 agosto evidenzia che alcuni individui che non sono mai stati infettati prima hanno una forma d’immunità cellulare legata ai linfociti T dimostrando il perché in alcuni si possono rilevare sintomi lievi in alcuni pazienti.

Le cure per i pazienti sono migliori?

La Dott.ssa Uzman Hasan afferma che il trattamento con corticosteroidi sono risultati efficaci e soprattutto accessibili visto i bassi costi, “è l’unico trattamento che ha un effetto convincente”, ribadisce Antonine Vieillard-Baron, capo del reparto di medicina e terapia intensiva dell’Ospedale Ambroise-Parè dell’AP-HP.

Oggi si assiste ad un aumento della speranza di vita: i pazienti non vengono più immediatamente intubati, piuttosto si ricorre a metodi meno invasivi.

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