Alzheimer, nuova terapia rallenta la malattia fino a 4 anni

Un nuovo farmaco potrebbe regalare fino a quattro anni di vita in salute ai pazienti con Alzheimer.

L’Alzheimer è una malattia che, ad oggi, non ha una cura definitiva. Tuttavia, una nuova terapia sta accendendo la speranza nella comunità scientifica e tra milioni di famiglie. Secondo uno studio internazionale, il farmaco lecanemab non solo rallenta la progressione della malattia, ma in alcuni casi mantiene stabili le capacità cognitive per anni.

Negli ultimi test clinici, condotti su centinaia di pazienti, i risultati sono stati definiti “straordinari” dagli esperti. I dati rivelano che la terapia può ritardare la progressione dell’Alzheimer fino a 11 mesi rispetto ai pazienti non trattati, con benefici che in certi casi si mantengono per quattro anni.

Lecanemab: Un passo avanti nella lotta all’Alzheimer

Il lecanemab è stato autorizzato nel Regno Unito nel 2024 dopo studi che ne hanno dimostrato l’efficacia nel rallentare la malattia.

Nella prima fase dello studio, durata 18 mesi, i ricercatori hanno osservato un rallentamento della progressione pari a circa 5,7 mesi. Successivamente, 478 pazienti hanno continuato ad assumere il farmaco per quattro anni. Il risultato? Un ritardo medio di quasi 11 mesi prima che la malattia passasse allo stadio successivo.

Un dato ancora più sorprendente riguarda i pazienti con bassi livelli di proteina tau – una sostanza che si accumula nel cervello man mano che la malattia avanza. In questo gruppo:

  • 69% dei pazienti non ha avuto alcun peggioramento in quattro anni.
  • 56% ha mostrato miglioramenti significativi nei test cognitivi.

Cosa significa per chi soffre di Alzheimer

In genere, i pazienti con demenza lieve peggiorano di 1-2 punti l’anno nelle scale di valutazione clinica utilizzate per monitorare l’Alzheimer. Ma chi ha assunto il lecanemab per quattro anni ha avuto un peggioramento di soli 1,75 punti nell’intero periodo.

Come ha spiegato il professor Christopher Van Dyck, direttore del Centro di Ricerca sull’Alzheimer della Yale School of Medicine e coordinatore dello studio: “La cosa su cui mi concentro di più è il tempo guadagnato. La malattia progredirà comunque, ma ci vorrà più tempo per arrivare agli stadi più gravi”.

L’esperto ha sottolineato l’importanza di avviare la terapia il prima possibile, poiché i risultati migliori si registrano nei pazienti con una minore compromissione iniziale.

Non solo rallentamento, ma cambiamento di rotta

Gli scienziati ritengono che questo tipo di farmaci possa modificare il corso stesso della malattia. Non si tratterebbe quindi solo di rallentare il declino, ma di mantenere le funzioni cognitive per periodi più lunghi, migliorando la qualità di vita.

A supportare questa tesi arrivano anche i dati su un farmaco simile, il donanemab. In un altro studio, i pazienti trattati per 18 mesi sono stati seguiti per tre anni: il risultato è stato un vantaggio di 6-12 mesi prima che la malattia peggiorasse rispetto a chi non riceveva la terapia.

La prudenza degli esperti

Nonostante i risultati promettenti, gli scienziati invitano alla cautela. La dottoressa Sheona Scales, direttrice della ricerca di Alzheimer’s Research UK, ha dichiarato: “Questa è la prima ondata di trattamenti in grado di modificare la malattia, e sebbene i progressi siano incoraggianti, ci sono ancora molti tasselli mancanti”.

Infatti, i ricercatori sottolineano che:

  • Non tutti i pazienti rispondono allo stesso modo.
  • Servono dati a lungo termine per confermare i benefici.
  • Gli effetti collaterali devono essere monitorati attentamente.

Cosa ci aspetta nei prossimi anni

Gli studi proseguiranno per capire se terapie come il lecanemab e il donanemab possano essere introdotte più ampiamente nei sistemi sanitari europei, compreso quello italiano.

Se confermati, questi risultati potrebbero rappresentare una svolta storica: non solo vivere più a lungo, ma vivere meglio, con anni di indipendenza in più.

Domande frequenti (FAQ)

Quanto è disponibile il lecanemab in Italia?
Al momento non è ancora disponibile su larga scala. Si attende l’approvazione delle autorità sanitarie europee.

Il farmaco è una cura definitiva per l’Alzheimer?
No. Rallenta la malattia e in alcuni casi migliora le funzioni cognitive, ma non la elimina.

Chi può beneficiare di più di questo trattamento?
I pazienti nelle fasi iniziali, con bassi livelli di proteina tau.

Quali sono gli effetti collaterali?
In alcuni pazienti si sono osservati mal di testa, gonfiori cerebrali e microemorragie, ma nella maggior parte dei casi gestibili.

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